Pensavo di non essere competitiva. E di non esserlo mai stata. In fin dei conti non mi sono mai paragonata agli altri, non cercavo di superare qualcuno o di eguagliare i risultati degli altri. Non dico in ambito sportivo, dove sono stata e sono tuttora veramente negata (ricordo che riuscivo a essere selezionata per la gara di resistenza solo perchè mi lasciavo doppiare e poi mentivo alla profe, così andavo a correre la gara dove arrivavo chiaramente penultima, fra lo stupore dell'insegnante e le risatine delle compagne!). Ma in ambito scolastico non mi interessava assolutamente conoscere i voti degli altri o paragonarmi ai compagni. Ma questo non perchè non sono competitiva.
Non sono competitiva con gli altri, ma lo sono con me stessa, senza pietà e senza scrupoli.
La mia indole pignolina, il mio orgoglio, forse anche le aspettative di mio padre, mi hanno sempre portato a dare il massimo. Sempre. In qualsiasi campo io fossi. Anzi o davo il massimo e riuscivo bene o mollavo. Fine. Non mi piace più. Non lo faccio più. Non sono portata. Ma non era per primeggiare sugli altri. Dovevo primeggiare su me stessa. Superarmi ogni volta. Migliorarmi costantemente. E qui casca l'asino (e si fa male), perchè se è sano dare il meglio, non lo è più quando questo pregiudica la qualità della vita. Così ho trasformato l'impegno scolastico in una gabbia in cui proteggermi dal mondo esterno, concentrata nell'andare sempre meglio. E il 7 era uno smacco. E se facevo un' escursione, dovevo farla meglio di come l'avevo fatta precedentemente, dovevo. A costo di arrivare al rifugio col cuore in gola, ma dovevo essere più veloce, e magari anche con lo zaino più pesante. Non me lo chiedeva nessuno. Me lo chiedevo io. E penso di essermi giocata alcune belle occasioni per essere felice, perchè mi sono presa troppo sul serio e guardando solo il risultato, ho perso di vista il tragitto, che era bello pure quello! La scuola, il volontariato, gli impegni erano strumenti per dimostrare a me stessa quanto ero brava, in questa gara esasperata con le mie aspettative e il mio orgoglio. E l'ho capito solo ora. Per l'esattezza l'ho capito pochi giorni fa, mentre nuotavo in piscina e avevo deciso di non contare le vasche, ma semplicemente di nuotare per 30 minuti. Ho azzerato la mia rivale: non c'erano record da battere, nuovi primati, fatiche da infliggersi. C'era solo nuotare, con i miei tempi, la mia calma, la volontà di godersi il momento, non solo l'arrivo. Così ho nuotato e non so quante vasche ho fatto. Ma mi è piaciuto come non mai. Mentre la mia più grande rivale stava lì, a bordo vasca, un po' smarrita per questo cambio di programma.
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